I due dittatori, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO QUINTO
 
 Vasta campagna, con veduta d’una collina occupata da’ Romani. A un fianco della scena v’ha una parte esteriore del vallo del campo di Fabio Massimo, con ponte levatoio e fossa all’intorno.
 
 SCENA PRIMA
 
 FABIO MASSIMO, OSIDIO ferito in un braccio, VALERIO, littori e alquanti soldati
 
 FABIO MASSIMO
1290Tosto a me le coorti, a me i tribuni
 dal vallo. (Partono due soldati, entrando nel vallo) Oh mal già preveduto! E come
 cadde ne’ tesi agguati
 il mal cauto Minuzio?
 OSIDIO
 Poiché a sicura e piena
1295vittoria, egli lasciò l’erto del colle
 ed avanzò troppo animoso addosso
 a quei che ne scendean dispersi e vinti,
 ecco che di repente
 dalle cave del sasso, ove nascosti
1300gli avea il nomade duce,
 escono gli Africani e d’ogni lato
 ne chiudono le vie, talché né core
 a noi resta al conflitto
 né speranza alla fuga.
 VALERIO
1305Sciagura irreparabile a noi tutti!
 OSIDIO
 Per comando del duce,
 che piagato di stral mi vide il braccio
 ed inetto alla pugna, a te son corso... (Cominciano a uscir dal vallo le legioni di Fabio Massimo)
 FABIO MASSIMO
 Oh dei! Minuzio alfine
1310si è perduto più presto
 e di quel ch’io credea
 e di quel ch’ei volea.
 Valerio, tu del campo
 rimanti alla custodia. Andiam, romani.
1315Andiam, del valoroso
 Minuzio e che per Roma ha tanto zelo,
 solleciti al soccorso.
 Per troppo esporsi defraudò fortuna
 le vaste idee de’ suoi consigli. È tempo
1320ch’or di mano al nimico
 strappiamo la vittoria; e trarrem poi
 a Minuzio il rossor de’ falli suoi. (Suonano le trombe e vanno pian piano e con ordinanza incamminandosi a piè del colle le truppe, divise in due ale)
 
    Il suon delle trombe
 sì alto rimbombe
1325che rechi al Numida
 il primo spavento.
 
    E i nostri in udirlo
 compagni guerrieri,
 ripiglin più fieri
1330l’usato ardimento. (Fabio Massimo ascende il colle, seguito da tutto l’esercito)
 
 SCENA II
 
 OSIDIO e VALERIO, poi VELIA con ARISBE, guardate da alquanti soldati
 
 OSIDIO
 Ben di virtù romana ha pieno il petto.
 VALERIO
 Il suo temporeggiar ripara i danni
 della patria cadente.
 OSIDIO
 E viltà si credea la sua lentezza.
 VALERIO
1335Tregua a sue lodi. Ecco la nostra Arisbe.
 OSIDIO
 La nostra? Eh, dilla tua; sciolti ne ho i lacci.
 VALERIO
 Io rallentati i miei, se non infranti.
 ARISBE
 Quei son d’Arisbe i due rivali amanti. (A Velia in disparte)
 VELIA
 Deh m’impetra da lor ch’io vegga Erminio. (Avanzandosi)
 OSIDIO
1340Dato è al merto d’Ersilia...
 VALERIO
                                                  E a quel di Velia...
 OSIDIO
 Sperar tutto...
 VALERIO
                             E ottenerlo. (Dà ordine ad un soldato)
 ARISBE
                                                     E a quel d’Arisbe?
 OSIDIO
 Più difficili prove ella ne esiga.
 Chieda risse, odi accenda.
 VALERIO
 E che contro di Roma
1345alziam braccio rubello, anche pretenda.
 VELIA
 In te cor sì feroce?
 ARISBE
                                     Oh, lo potessi!
 VELIA
 Odia Roma; ma almeno,
 a due amanti sì fidi,
 sia più giusto il tuo cor.
 OSIDIO
                                             Di me non curi;
1350dispetto mi sanò dopo i suoi sprezzi.
 ARISBE
 Ho di che consolarmi
 nell’incostanza tua. Trovo in Valerio...
 VALERIO
 Cara a Valerio esser non può la fiera
 di Fabio accusatrice.
 VELIA
1355Se non mente il lor dir, nuove conquiste
 cerchisi, o bella Arisbe, il tuo sembiante.
 ARISBE
 A giovane beltà non manca amante.
 OSIDIO
 
    Non mancherà chi t’ami;
 ma quello io non sarò.
 
 VALERIO
 
1360   Ho sciolti i tuoi legami;
 più non inciamperò.
 
 ARISBE
 
    Perdendo due incostanti,
 né men sospirerò.
 
 OSIDIO
 
    Del mio sprezzato amore
1365mi vendico così.
 
 VALERIO
 
    In te sincero il core
 credei; ma mi tradì!
 
 ARISBE
 
    Il mio non fu impostore;
 ma il tuo si lusingò.
 
 SCENA III
 
 ARISBE e VELIA
 
 ARISBE
1370Velia, se alcun dolor turba mia pace,
 l’ho dal veder per mia cagion te mesta
 nel periglio d’Erminio.
 Chi creduto l’avria? Ch’ei fuor de’ ceppi
 ad esporsi venisse a certa morte.
 VELIA
1375Sua virtù così volle o pur mia sorte.
 Ma per obblique vie, spesso a noi giunge
 quel bene ancor che ne parea più lunge.
 
    Che fa quell’usignuolo
 che prigioniero o solo
1380sì dolce canta e geme?
 O la compagna ei spera
 o spera libertà.
 
    E quando gonfia e freme
 furia di venti o d’onde,
1385sperando aure seconde
 anche il nocchier sì sta.
 
 SCENA IV
 
 VALERIO, ERMINIO tra littori e le suddette
 
 VALERIO
 Si, la tua Velia, o prence, ecco in Ersilia.
 VELIA
 E in Velia la tua serva e la tua sposa.
 ERMINIO
 Oh dei! Ben disse al core il primo sguardo
1390di Velia un non so che; né il cor l’intese.
 VELIA
 Sapealo il mio; ma si fe’ forza e tacque.
 ERMINIO
 Quel silenzio perché?
 VELIA
                                          Dirti qual fossi
 non mi parve in quel punto
 né per te né per Fabio util consiglio.
1395Mi premea il tuo periglio,
 quel fier periglio, oimè! ch’or ti sovrasta,
 trattovi da amistade...
 ERMINIO
                                           E in un da amore.
 Sì, amor mi richiamò nel roman campo,
 dacché intesi nel mio le tue catene.
1400Qui tornai pien di spene
 di trovar Velia o morte;
 e udendo allor del fido amico il rischio,
 pensai ch’espor me stesso
 e salvar lui, che per me sol moria,
1405mio dover fosse insieme e gloria mia.
 VALERIO
 Di tanti mali ne arrossisca Arisbe.
 ARISBE
 Innocente è il voler, se reo l’effetto.
 VELIA
 Così piacque agli dii, per far d’Erminio
 nell’atto illustre il nobil cor palese.
1410Ma quegli stessi dii ne serberanno
 ch’or ne danno il piacer, finor vietato,
 di dirne io ciò che volli e non osai.
 ERMINIO
 Ed io ciò che bramai ma non potei.
 VELIA
 Oh Erminio, oh sposo...
 ERMINIO
1415Oh Velia, oh sposa...
 A DUE
 Idolo, speme, amor de’ voti miei. (Rientrano tutti nel vallo)
 
 SCENA V
 
 QUINTO FABIO scendendo dal colle
 
 QUINTO FABIO
 Fabio, quei che là miri,
 da scambievole amor congiunti sposi,
 Velia sono ed Erminio. A che non corri
1420a lor col lieto avviso
 del perdono impetrato
 nel giubilo maggior della vittoria?
 Che ti arresta? Il tuo amor? Vile che sei;
 il tuo è invidia, è furor, non è più amore.
1425Ostinarsi in amar ciò che non lice
 è un voler esser perfido o infelice.
 
    Chiare fiamme che in seno m’ardeste,
 rei fumi alzereste,
 se più osassi nudrirvi nel seno.
 
1430   Que’ vapori, che il sole non scioglie,
 si condensano in nubi e tempeste
 e ne rubano il giorno sereno. (Entra nel vallo)
 
 SCENA VI
 
 MINUZIO con seguito di soldati dal colle
 
 MINUZIO
 Spesso intesi, o soldati,
 doversi i primi onori al buon consiglio
1435d’un prudente comando,
 i secondi al valore
 d’un pronto utile ossequio;
 ma nessuno a colui che né ben sappia
 consigliar né ubbidir. Noi, cui del primo
1440pregio è tolta la sorte, almen dell’altra
 proccuriamci la gloria; e mentre l’arte
 impariam del comando,
 obbedendo a chi sa, facciamci saggi.
 Uniam l’armi e i vessilli
1445con quei di Fabio. In avvenir ne regga
 un solo dittator. L’ultimo impero,
 che mi riserbo in voi, sia ch’ei ne trovi
 grati e migliori; ed io il primier tra voi
 sarò nel soggettarmi a’ cenni suoi. (I soldati di Minuzio battono le aste e le spade sopra i loro scudi, in segno d’applauso e di assenso; e dipoi Minuzio si ritira in disparte, mettendosi alla loro testa. In questo dall’alto del colle cominciano a scendere al suono di timpani, tamburi e trombe i romani vittoriosi, avendo tolto in mezzo il dittator Fabio sopra un carro trionfale, formato e ornato tumultuariamente di spoglie nimiche, sostenendolo eglino stessi alle parti e facendolo tirare da schiavi cartaginesi. Escono nello stesso tempo dal vallo ed altronde Quinto Fabio, Velia, eccetera)
 
 SCENA ULTIMA
 
 FABIO MASSIMO sopra carro trionfale, MINUZIO, QUINTO FABIO, VELIA, ARISBE, ERMINIO, OSIDIO, VALERIO, tribuni, soldati, littori, eccetera
 
 CORO
 
1450   Qual voce, qual mente
 può il forte, il prudente,
 magnanimo Fabio
 appien celebrar?
 
    Non men che il valore,
1455sa e può del gran core
 l’indugio e il riposo
 trofei riportar.
 
    Annibale ei vinse;
 ma pria l’ire estinse;
1460e valse i suoi torti
 virtù a vendicar.
 
 FABIO MASSIMO
 Son del giubilo vostro impeto e sfogo
 cotesti applausi. E che fec’io, soldati,
 ch’ogni buon cittadin fatto, e più ancora,
1465non avesse per Roma? A lei serbate
 ed a’ propizi dii lodi sì grate. (Scende dal carro)
 ERMINIO
 Che modestia in eroe dopo il trionfo!
 MINUZIO
 Padre. Questo convien nome al tuo grado
 e più al tuo benefizio. Oggi vincesti
1470Annibale con l’armi
 e me con la bontà. Tu più che padre
 mi sei; la sola vita
 deggio a’ miei genitori;
 a te la mia salute e quella insieme
1475deggio di tutti questi
 valorosi romani. Ecco ch’io primo,
 questo, a me più di peso
 che d’onor, plebiscito annullo e cedo.
 Cedo la dittatura,
1480i littori, le insegne e le coorti.
 Piacciati a me usar grazia, usarla a loro;
 e quai prima eravam, duci o soldati,
 danne ancor militar sotto i felici
 tuoi comandi ed auspici.
 FABIO MASSIMO
1485Minuzio, il non errar nell’ardue imprese
 sovrasta all’esser d’uom. Trarre il profitto
 da’ suoi commessi errori
 sempre è in poter di chi ha fortezza e senno.
 Tu già saggio il conosci e, se a valore
1490prudenza accoppierai,
 cittadino alla patria util sarai. (Lo abbraccia)
 OSIDIO
 Uom chi vide giammai sì generoso?
 VALERIO
 Nomi saran minori i prischi eroi.
 FABIO MASSIMO
 Bella coppia di fede, i vostri mali
1495finiti son. Sta in vostro grado l’uso
 di quella libertà che vi si rende.
 VELIA
 Ovunque andrem, verrà con noi la grata
 ricordanza de’ Fabi.
 ERMINIO
 Roma in prezzo ne avrà ferma amistade.
 FABIO MASSIMO
1500Amici per virtù sono i migliori.
 QUINTO FABIO
 Godano fortunati i vostri amori.
 VELIA
 Tutto a Fabio dobbiamo il nostro bene.
 MINUZIO
 E Minuzio in orror forse vi fia.
 ERMINIO
 Colpe, che fece amor, virtù ha corrette.
 VELIA
1505E mal passato in gran piacer si obblia.
 QUINTO FABIO
 (Ma forza è che sospiri, anima mia).
 FABIO MASSIMO
 Né te mi scordo, Arisbe.
 Troppo rischio è fra noi beltà sì fiera.
 Tu pur libera torna a’ tuoi numidi.
 ARISBE
1510E tra loro, anche in onta all’odio mio,
 porterò del tuo nome i chiari vanti,
 lasciando qui due sconsolati amanti.
 CORO
 
    Felice giorno,
 in cui si onora
1515d’alma sì grande
 senno e valor.
 
    Dal carro adorno
 il sole ognora
 del suo ti sparga
1520più bel chiaror.
 
 Il fine de’ «Due dittatori»
 
 LICENZA
 
 Se l’opre eccelse de’ passati eroi
 sopra tragiche scene
 si ravvivano a noi,
 ond’è che del lor grido assai men grandi,
1525te presente, o signor, l’idea le trovi?
 Colpa questa esser può di debil penna
 che, per quanto si sforzi, al ver non giunga;
 ma forza è più del paragon che, come
 fa vicino al minore il maggior lume,
1530le lontane memorie oscura e vince.
 O magnanimo invitto augusto Carlo,
 quali armi delle tue, quali trionfi
 fur de’ tuoi più felici?
 Quai riposi più fausti? E quai più saggi?
1535Tu le guerre nimiche
 né provochi né temi; e come è vanto
 di tua moderatezza
 che pugnar tu non voglia,
 così di tua fortezza è pregio illustre
1540ch’altri non osi. E si vuol poi che a vista
 di tue gesta sublimi,
 che tolgon quasi la credenza al vero,
 delle antiche stupir possa il pensiero?
 
    Nell’onor de’ prischi eroi
1545si può sol de’ pregi tuoi
 un’immagine adombrar.
 
    Dire appien tue chiare gesta
 né sapria più nobil canto
 né il vorria quella modesta
1550tua virtù, d’udir ritrosa
 ciò che sa di meritar.
 
 CORO
 
    Qual voce, qual mente
 può il forte, il prudente,
 magnanimo augusto
1555appien celebrar?